Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

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«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

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«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

31 maggio 2010

Marxismo contro fascismo e antifascismo

L'Aventino
[Tratto da N+1 - Estratti]

FASCISMO E ANTIFASCISMO DI IERI E DI OGGI

Il fascismo non è stato "reazione agraria", ma espressione moderna del capitale: repressione armata delle spinte rivoluzionarie proletarie e riformismo sociale, intervento statale diretto nell'economia e sostegno all'industria e alla finanza italiana nello scontro sul mercato mondiale, accentramento istituzionale contro il "cretinismo parlamentare" e integrazione corporativa dei "rappresentanti dei lavoratori" nell'economia.
Questa concezione del fascismo è completamente estranea a quanti non capiscono la sostanziale continuità fra Stato fascista e sua evoluzione nella repubblica "nata dalla Resistenza": continuità nelle istituzioni economiche dominanti, nella politica di intervento statale nell'economia, nel monopartitismo mascherato, nel corporativismo del sindacato sempre più integrato, sempre più partecipe della difesa dell'economia capitalistica.
La caduta politica dello stato fascista è il frutto della sconfitta militare del blocco italo-tedesco ad opera dello schieramento avversario anglo-americano.
Già prima della II Guerra Mondiale, nell'occasione della guerra civile spagnola, i comunisti conseguenti denunciarono il carattere imperialista del conflitto che si stava preparando, denunciarono le forze opportuniste che "rovinarono l'orientamento di classe del proletariato facendolo paurosamente rinculare di almeno un secolo, e chiamarono tutto ciò progressismo. Convinsero gli operai di Francia, d'Italia e di tutti gli altri paesi che la lotta di classe, per sua natura offensiva, a carattere di iniziativa deliberata e dichiarata, si concretava in un difesismo, in una resistenza, in una inutile e sanguinosa emorragia contro forze organizzate capitalistiche che non vennero superate ed espulse che da altre forze non meno regolari e non meno capitalistiche, mentre il metodo adottato impedì assolutamente di inserire nel trapasso un tentativo di attacco autonomo delle forze operaie".
Pur ridotta a un'esigua minoranza dalle epurazioni staliniane, la nostra corrente, la Sinistra Comunista, rivendicò anche durante la II Guerra Mondiale il rifiuto di qualunque blocco partigiano che accomunasse in un unico fronte il proletariato alla borghesia antifascista così come alle classi dominanti filonaziste e mussoliniane.
Nella propaganda della borghesia, l'immensa carneficina della guerra fu ammantata di nobili ideali, di luminose prospettive, che nascondevano la reale natura dello scontro fra i blocchi imperialisti per la supremazia mondiale. La grande maggioranza del proletariato, sotto la guida dei partiti staliniani divenuti nazional-patriottici e "partigiani" dell'imperialismo più forte, fu coinvolta nel massacro collettivo e, ancora una volta, offrì il suo sangue per costruire un "mondo nuovo" che puzzava esattamente come il vecchio e perpetuava lo stesso fetente regime di produzione capitalistica. La nostra corrente soltanto ebbe il coraggio, con poche, isolate voci, di ribadire e rendere attuali le parole d'ordine che il comunismo europeo, con i bolscevichi russi alla testa, aveva lanciato trent'anni prima, allo scoppio del primo conflitto mondiale.
Contro la "difesa della patria": il proletariato è classe internazionale, il lavoro salariato lega gli operai fra di loro al di là dei confini.
Contro l'appoggio ad una o all'altra delle fazioni borghesi: indipendenza della classe proletaria dal fascismo e dall'antifascismo, lotta autonoma di classe contro la borghesia, antifascista e filoamericana così com'era fascista e filotedesca negli anni passati.
I comunisti non devono piegarsi ad una scelta tra gruppi o Stati borghesi in lotta: il loro compito è quello di guidare la classe proletaria nella guerra contro la classe nemica in ogni Stato, qualunque sia la forma di governo che in esso esprime.
La tragedia storica di un proletariato coinvolto nella guerra a fianco di un imperialismo contro l'altro viene oggi disinvoltamente evocata per scopi prettamente di bottega: come allora, si scomodano ideali sublimi e roboanti paroloni. Solidarietà, democrazia, pace, patria, libertà e benessere economico corrono dalle bocche di vecchi politicanti e di nuovi apprendisti del mestiere parlamentare come le chiacchiere dei banditori di aste e degli imbonitori dei mercati ortofrutticoli. Ma quando le grandi tragedie storiche vengono evocate per la seconda volta sullo scenario dell'umanità, come ricorda Marx, esse trovano spazio solo sotto la forma della farsa. E farsa non può che rimanere, amplificata dallo strapotere dei "mass media" e cucinata in tutte le salse per essere servita alle orecchie e ai cervelli del proletariato, trasformato in anonima folla di telespettatori.
Agli appelli di oggi, alle richieste di schierarsi con questo o con quel gruppo parlamentare in nome di un fascismo da avanspettacolo o di un antifascismo che ne è il riflesso, i comunisti non possono che ribadire, cento volte più forte di allora, la medesima risposta: il proletariato non può e non deve legarsi a nessuno dei carrozzoni borghesi ai quali lo si vorrebbe aggregato.
Non c'è nulla da scegliere: i contendenti non rappresentano che due facce della stessa capitalistica medaglia. Sono da abbattere non con "scelte" elettorali, ma con la rivoluzione.

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INQUADRAMENTO STORICO DELLA QUESTIONE

La natura del fascismo è studiata dalla Sinistra Comunista in un arco di tempo molto ampio, che va dalle prime manifestazioni aperte, politiche e violente in Italia nel 1919-20 fino al 1970.
La sua analisi del fenomeno fascista diventa inseparabile da quella di tutti gli altri fenomeni del capitalismo maturo almeno dal 1922, all'epoca del rapporto al IV Congresso dell'Internazionale Comunista.
Il relatore per la Sinistra fu Bordiga. Egli rispose innanzitutto all'interpretazione che l'Internazionale dava dei rapporti fra PCd'I e fascismo e che discendeva da un'interpretazione del fascismo del tutto politica, cioè contingente. Nel criticare l'atteggiamento del PCd'I, gli rimprovera di voler rimanere un partito piccolo, elitario, dedito più alla sua organizzazione che alle grandi questioni politiche del momento.
Bordiga risponderà in altre occasioni che le grandi questioni politiche, la tattica, la strategia del partito non sono disgiunte dal ferreo possesso della teoria rivoluzionaria e che le oscillazioni tattiche per un partito (ma questo valeva anche per l'IC) sono deleterie quanto una sconfitta sul campo.
Il fascismo, dice dunque Bordiga nel 1922, non è un fenomeno dovuto alla nascita e all'azione di un movimento politico particolare; è già presente in Italia almeno dal 1914-15, quando una parte della borghesia decide di entrare in guerra. I gruppi sono eterogenei, ma sono guidati dagli interessi della grande borghesia industriale e, prima di invocare l'intervento a fianco dell'Intesa contro Austria e Germania, avevano addirittura raccomandato una guerra contro di essa. Vi erano comunque anche gruppi repubblicani irredentisti, sindacalisti rivoluzionari e anarchici, radicali liberali. Nel rapporto successivo, al V Congresso dell'IC nel luglio 1924, Bordiga ribadisce che fu l'ala estrema, quella anarco-sindacalista ed estremista socialista rinnegata "a fornire al fascismo post-bellico il suo stato maggiore generale".
Il fenomeno fascista non si deve analizzare a partire dalle sue componenti politiche, anche se queste daranno l'impronta ai discorsi e ai documenti nell'azione quotidiana. La componente essenziale del fascismo è la borghesia industriale e il suo Stato. La smobilitazione postbellica, la riconversione industriale, il pericolo di una rivoluzione interna, pongono alla borghesia un "problema gigantesco. Essa non poteva risolverlo né dal punto di vista tecnico, né da quello militare mediante una lotta aperta contro il proletariato; doveva risolverlo dal punto di vista politico".
La borghesia fece dapprima delle concessioni al proletariato attraverso i ministeri liberal-riformisti di Nitti e Giolitti. Nello stesso tempo istituiva un secondo esercito, la Guardia Regia, che non era una polizia e nemmeno un esercito vero e proprio. E continuava a pagare gli ufficiali smobilitati che andavano ad istruire l'apparato militare fascista.
Ma perché la borghesia stava intraprendendo questa strada?
Una prima risposta è che voleva e doveva evidentemente evitare la rivoluzione. Il fascismo dunque prende come primo aspetto quello della guardia bianca controrivoluzionaria. Questo è un aspetto immediato, importante, ma non essenziale. Il fascismo non ha un programma specifico, non ha una sua ideologia, ma risulta dall'insieme delle ideologie della borghesia e delle classi medie che rappresentano la manodopera armata. Al momento (1922) si adagia perfettamente nel gioco parlamentare. Esso non rappresenta una "destra" della borghesia, ma una unione di tutte le esigenze borghesi. Non vuole ideologicamente il predominio violento di una classe sull'altra, ma copia dalla democrazia borghese la massima collaborazione fra le classi. Quando i fascisti formularono un programma organico non inventarono nulla di nuovo, esposero semplicemente un miscuglio di istanze socialdemocratiche e riformiste, condite con un linguaggio un po' più demagogico di quello dei democratici, avvalendosi anche dell'esperienza rivoluzionaria russa, copiando ciò che gli serviva in fatto di organizzazione, disciplina, centralizzazione, partito unico di una classe. L'essenza del fascismo, però, non è in questi suoi aspetti sovrastrutturali, anche se la borghesia ne ha bisogno perché rappresentano la giustificazione politica della controrivoluzione.
La vera risposta al perché la borghesia stesse intraprendendo questa strada sta nel fatto che nell'epoca dell'imperialismo il fascismo è la struttura di qualsiasi forma di governo borghese. L'imperialismo è la fase "suprema", cioè l'ultima. A questa fase corrisponde un modo di governo dei fatti economici e sociali determinato dalla maturità delle condizioni economiche. Non può essere un modo qualsiasi, né può essere un modo adeguato a periodi precedenti della storia del capitalismo. La fase suprema del capitalismo pretende una fase suprema del modo di governo. Il processo è irreversibile, quindi la nuova forma di dominio borghese è irrinunciabile da parte della borghesia.
Questa non è una "invenzione" della nostra corrente. L'analisi approfondita seppure non ancora esplicita della necessità del fascismo la troviamo in Lenin e precisamente nell'Imperialismo, fase suprema del capitalismo. Per Lenin l'aggettivo "supremo" sta come "putrefatto" e lo spiega più volte. Il testo finisce con questa osservazione: l'imperialismo, cioè la putrefazione del capitalismo, è la fase suprema, cioè quella della socializzazione della produzione. Si tratta di capitalismo di transizione, cioè di capitalismo morente.
È per cercare di non morire che il capitalismo deve darsi questa estrema forma di dominio sintetizzata nella parola "fascismo" che la Sinistra utilizza come un comodo riferimento, dietro il quale però vi è una ricostruzione materialistico-dialettica del processo storico che porta al superamento del capitalismo. Il fascismo non è dunque un ritorno indietro nella storia, non rappresenta per il proletariato una sconfitta maggiore di quanto non lo rappresenti la democrazia; anzi, più sono moderni e semplificati i rapporti di classe, meglio è per la rivoluzione futura: "per il movimento che avesse rigata la via diritta, [il fascismo] sarebbe stato, come sarà [riconosciuto] un giorno, il regalo migliore della storia". Grande scandalo, naturalmente tra gli opportunisti; ma in realtà tutto è già scritto per esempio nel 18 brumaio di Marx. Quando l'esecutivo borghese si erge contro il parlamento, con ciò stesso si isola di fronte alla rivoluzione che non avrà altri ostacoli da abbattere.
Invece di gridare con Marx "ben scavato, vecchia talpa!", invece di prepararsi alla risposta armata contro la guardia bianca, l'opportunista ritorna vigliaccamente alla difesa della democrazia e del parlamento. Mentre la storia pone su di un piatto d'argento la semplificazione della via rivoluzionaria, l'opportunista la complica tornando a legami sociali precedenti. Il fascismo in sé non è più controrivoluzionario di altre forme del regime borghese: esso lo diventa a causa della reazione antifascista che getta il proletariato nell'alleanza mortale con altri strati sociali in difesa della democrazia borghese perduta: "Il risultato peggiore, per le sorti delle classe proletaria, è l'entrata nel tronfio affasciamento antifascista della parte proletaria che aveva finalmente imboccata la via originale ed autonoma, sicché tutti, ognuno a modo suo, si sono rimessi a rifare lo sviluppo del primo Risorgimento. Merito questo controrivoluzionario che pesa un secolo, se quello di Mussolini ha pesato un ventennio. Ma il secondo ha pesato in senso controrivoluzionario perché così l'hanno preso i maneggioni della politica opportunista".
Il fascismo ha usato violenza e assassinio né più né meno di quanto hanno fatto i regimi precedenti o successivi, in Italia e altrove. Ma sarebbe sciocco moralismo fermarsi a considerazioni quantitative sulla violenza manifesta o potenziale in confronto delle forme di governo. Invece è materialismo dialettico dimostrare che la violenza contro l'umanità non è dovuta alla forma fenomenica, fascista o meno, del capitalismo ma al capitalismo stesso.
Ideologicamente, abbiamo detto, il fascismo non porta nulla di nuovo, si limita a copiare ciò che gli serve da ciò che già esiste, a destra e soprattutto a sinistra. Ciò che di veramente nuovo introduce è una nuova organizzazione dello Stato, un unico partito borghese centralizzato, una poderosa organizzazione militare e sociale che coinvolge il proletariato stesso.
Nel 1924 si vede ancora una contraddizione mortale tra la necessità organizzativa e centralizzatrice dello Stato borghese e l'ideologia ultraliberista professata dai fascisti. Si tratta di una contraddizione tra il fascismo e chi lo impersona. Se le cose stanno così, non possono durare, "il fascismo è condannato al fallimento in forza dell'anarchia economica del capitalismo, malgrado il fatto che abbia preso saldamente in pugno le redini del governo".
Nel 1924 il fascismo è effettivamente in crisi, non riesce a sfruttare la vittoria elettorale per rilanciare l'economia e ristrutturare completamente lo Stato. L'assassinio di Matteotti provoca una generalizzata ribellione operaia che sembra prefigurare la possibilità di una ripresa di classe. Ma di lì a poco il fascismo compirà il suo capolavoro: razionalizzerà l'intervento dispotico in economia regolando da una parte l'anarchia capitalistica e dall'altra la tendenza naturale al monopolio. Viene ammortizzata la contraddizione fondamentale dell'anarchia produttiva e distributiva, ma viene anche combattuta la tendenza alla eccessiva concentrazione monopolistica, fattore di espropriazione e di limitazione del "libero mercato". Lo Stato acquisterà le aziende sofferenti a causa della concorrenza, le chiuderà o rinnoverà a seconda delle loro condizioni, quindi le restituirà al mercato. Verrà regolato il credito, verranno progettati ampi lavori pubblici.
Keynes razionalizzerà tutto ciò in un sistema teorico formale almeno dieci anni dopo, più tardi ancora delle prime applicazioni del fascismo tedesco. Del resto un fenomeno materiale, un'esigenza vitale del capitalismo non poteva rimanere un'eccezione. "Noi siamo del parere che il fascismo tenda in certo modo a diffondersi anche fuori d'Italia... In generale noi possiamo attenderci all'estero una copia del fascismo italiano che s'incrocerà con forme di estrinsecazione della ondata democratica e pacifista", dicemmo nel 1924.
Fascismo e ondata democratica e pacifista? I delegati europei, seduti a congresso, educati alla democrazia e al pacifismo devono aver pensato di noi: questi sono matti. I delegati russi non compresero e combatterono la Sinistra pagando a caro prezzo il loro errore. In Germania i socialdemocratici Scheidemann e Noske avevano già aperto la strada, i plotoni di esecuzione staliniani eliminarono, dopo regolare e democratico processo, la vecchia guardia bolscevica.
La destra storica che governò l'Italia dopo l'unificazione nazionale fu l'ultimo esempio di governo borghese liberista coerente. Ma fu già accentratrice e unificatrice delle spinte particolaristiche. Scomparve una volta per tutte nel 1876, quando fu vinta dalla sinistra borghese demagogica e parolaia, dimostratasi poi incapace di riformare il suo Stato. Il fascismo non fu un ritorno a situazioni pre-unitarie e pre-borghesi, fu invece fenomeno moderno capace di riforma. Non nel senso che fu il prosecutore della sinistra borghese: esso fu in realtà il realizzatore dialettico delle vecchie istanze del riformismo socialista.
Non aver capito questo, fu un disastro per il movimento operaio mondiale, che precipitò sotto l'influenza di un prodotto sociale peggiore del fascismo stesso: l'antifascismo piagnone e democratoide.
"Quando il primo esempio del tipo di governo totalitario borghese si ebbe in Italia col fascismo, la fondamentale falsa impostazione strategica di dare al proletariato la consegna della lotta per la libertà e le garanzie costituzionali nel seno di una coalizione antifascista manifestò il fuorviarsi totale del movimento comunista internazionale dalla giusta strategia rivoluzionaria. Il confondere Mussolini e Hitler, riformatori del regime capitalistico nel senso più moderno, con Kornilov o con le forze della restaurazione e della Santa Alleanza del 1815, fu il più grande e rovinoso errore di valutazione e segnò l'abbandono totale del metodo rivoluzionario".

* * *

"IL PIÙ DISGRAZIATO E PERNICIOSO PRODOTTO DEL FASCISMO È L'ANTIFASCISMO" (A. Bordiga)

[...]

I tre fattori della vittoria fascista

...Frattanto, il complice di avanguardia della classe dominante italiana, Benito Mussolini, provvedeva a impersonare la riscossa delle forze conservatrici e fondava il movimento fascista. La politica fascista, caratteristica del moderno stadio borghese, faceva in Italia il primo classico esperimento. Col fascismo la borghesia, pur sapendo che lo Stato ufficiale con tutte le sue impalcature è il suo comitato di difesa, cerca di adattare il classico suo individualismo a una coscienza e a un'inquadratura di classe.
Essa ruba così al proletariato il suo segreto storico, e in tale bisogna i suoi migliori pretoriani sono i transfughi dalle file rivoluzionarie. Nella inquadratura fascista, la borghesia italiana seppe in effetti impegnare sé stessa e i suoi giovani personalmente nella lotta, lotta per la vita e per la salvezza dei suoi privilegi di sfruttamento. Ma, naturalmente, il fascismo consisté anche nell'inquadrare nelle file di un partito e di una guardia di combattimento civile gli strati di altre classi tormentate dalla situazione, non esclusi alcuni elementi proletari delusi dalla falsa apparenza dei partiti che da anni parlavano di rivoluzione, ma rivelavano la loro palese impotenza.
Il compito immediato del fascismo è la controffensiva all'azione di classe proletaria, avente scopo non puramente difensivo, secondo il compito tradizionale della politica di stato, ma distruttivo di tutte le forme autonome di organizzazione del proletariato. Quando la situazione sociale è matura nel senso rivoluzionario, sia pure con un processo difficile e pieno di scontri, ogni organo delle classi sfruttate che lo Stato non riesca ad assorbire per irretirlo nella sua pletorica impalcatura, e che seguiti a vivere su una piattaforma autonoma, diventa una posizione di assalto rivoluzionario. La borghesia nella fase fascista comprende che tali organismi, sebbene tollerati dal diritto ufficiale, devono essere soppressi, e, non essendo conveniente inviare a farlo i reparti armati statali, crea la guardia armata irregolare delle squadre d'azione e delle camicie nere.
La lotta si ingaggiò tra i gruppi di avanguardia del proletariato e le nuove formazioni del fascismo e, come è ben noto, fu perduta dai primi. Ma questa sconfitta e la vittoria fascista furono possibili per l'azione di tre concomitanti fattori.
Il primo fattore, il più evidente, il più impressionante nelle manifestazioni esteriori, nelle cronache e nei commenti politici, nelle valutazioni in base ai criteri convenzionali e tradizionali, fu appunto la organizzazione fascista mussoliniana, con le sue squadre, i gagliardetti neri, i teschi, i pugnali, i manganelli, i bidoni di benzina, l'olio di ricino e tutto questo truce armamentario.
Il secondo fattore, quello veramente decisivo, fu l'intiera forza organizzata dell'impalcatura statale borghese, costituita dai suoi organismi. La polizia, quando la vigorosa reazione proletaria (così come da principio avveniva molto spesso) respingeva e pestava i neri, ovunque interveniva attaccando e annientando i rossi vincitori, mentre assisteva indifferente e soddisfatta alle gesta fasciste quando erano coronate da successo. La magistratura, che nei casi di delitti sovversivi e "agguati comunisti" distribuiva trentine di anni di galera ed ergastolo in pieno regime liberale, assolveva quei bravi ragazzi degli squadristi di Mussolini, pescati in pieno esercizio di rivoluzione e di assassinio. L'esercito, in base ad una famosa circolare agli ufficiali del ministro della guerra Bonomi, era impegnato ad appoggiare le azioni di combattimento fascista; e da tutte le altre istituzioni e caste (dinastia, Chiesa, nobiltà, alta burocrazia, parlamento) l'avvento dell'unica forza venuta ad arginare l'incombente pericolo bolscevico era accolta con plauso e con gioia.
Il terzo fattore fu il gioco politico infame e disfattista dell'opportunismo social-democratico e legalitario. Quando si doveva dare la parola d'ordine che all'illegalismo borghese dovesse rispondere (non avendo potuto o saputo precederlo e stroncarlo sotto le sporche vesti democratiche) l'illegalismo proletario, alla violenza fascista la violenza rivoluzionaria, al terrore contro i lavoratori il terrore contro i borghesi e i profittatori di guerra fin nelle loro case e nei luoghi di godimento, al tentativo di affermare la dittatura capitalista quello di uccidere la libertà legale borghese sotto i colpi di classe della dittatura proletaria, si inscenò invece la imbelle campagna del vittimismo pecorile, si dette la parola della legalità contro la violenza, del disarmo contro il terrore, si diffuse in tutti i modi tra le masse la propaganda insensata che non si dovesse correre alle armi, ma si dovesse attendere l'immancabile intervento dell'Autorità costituita dallo Stato, la quale avrebbe ad un certo momento, con le forze della legge e in ossequio alle varie sue carte, garanzie e statuti, provveduto a strappare i denti e le unghie all'illegale movimento fascista.
Come dimostrò l'eroica resistenza proletaria, come attestano le porte delle Camere del Lavoro sfondate dai colpi d'artiglieria attraverso le piazze su cui giacevano i cadaveri degli squadristi, come provarono i rioni operai delle città espugnati, come a Parma dall'esercito, come in Ancona dai carabinieri, come a Bari dai tiri della flotta da guerra, come dimostrò il sabotaggio riformista e confederale di tutti i grandi scioperi locali e nazionali fino a quello dell'agosto 1922 (che, a detta dello stesso Mussolini, segna la decisiva affermazione del fascismo, giacché la pagliaccesca marcia su Roma in vagone letto del 28 ottobre fu fatta solo per i gonzi), senza il gioco concomitante di questi tre fattori il fascismo non avrebbe vinto. E se nella storia ha un senso parlare di fatti non realizzati, la mancata vittoria del fascismo avrebbe significato non la salvezza della democrazia, ma il proseguire della marcia rivoluzionaria rossa e la fine del regime della classe dominante italiana. Questa, ben comprendendolo, in tutti i suoi esponenti, conservatori e social-riformisti, preti e massoni, plaudì freneticamente al suo salvatore.
Se questo giustamente rappresentò il primo dei tre fattori della vittoria, al secondo, la forza dello Stato, vanno dati i nomi dei partiti e degli uomini che governarono l'Italia dal 1910 al 1922, i liberali come Nitti e Giolitti, i social-riformisti come Bonomi e Labriola, i clericali in via di democratizzazione come Meda e Rodinò, i radicali come Gasparotto e così via. Al terzo fattore, costituito dalla politica disfattista dei capi proletari, vanno dati i nomi dei D'Aragona e Baldesi, Turati e Treves, Nenni e compagni, che giunsero, a nome dei loro partiti e dei loro sindacati, a firmare il patto di pacificazione col fascismo, patto che comportava il disarmo di ambo le parti, ma naturalmente valse soltanto a disarmare il proletariato...
Ben presto il nuovo sistema, di cui la chiave evidente era la sostituzione del partito unitario borghese al complesso ciarlatanesco dei partiti borghesi tradizionali (prima realizzazione della tendenza del mondo moderno, per cui in tutti i grandi Stati del capitalismo in fase imperiale amministrerà il potere un'unica organizzazione politica) passò alla liquidazione del personale delle vecchie gerarchie politiche, e questi complici del primo periodo furono liquidati ed espulsi a pedate dalla scena politica. L'episodio centrale della resistenza di questo strato che troppo tardi si accorgeva dello sviluppo degli eventi, ma che storicamente mai avrebbe cambiato strada (perché cambiarla a tempo avrebbe significato rinunziare al sabotaggio della rivoluzione) fu costituito dalla lotta sorta dopo l'uccisione di Matteotti.
Questo gruppo ignobile di traditori invocò e pretese l'appoggio e l'alleanza del proletariato per rovesciare il fascismo, ma nello stesso tempo non cessò dal piatire il legale intervento della dinastia, dal fare l'apologia della legge, del diritto e della morale, tutte armi che non scalfivano per niente la grandeggiante inquadratura fascista, e dal deprecare ogni violenza di masse.
L'avanguardia cosciente del proletariato in tale momento non doveva avere lacrime per la violata libertà di questi sporchi servi del fascismo, ma, dopo avere virilmente sostenuta la bufera della controrivoluzione, ben poteva compiacersi della sorte di questi miserandi relitti delle cricche parlamentari. Da allora, invece, comincia a sorgere il prodotto più nauseante del fascismo, l'antifascismo bolso, incosciente, privo di connotati, incapace di classificare storicamente il suo avversario, incapace di capire che, se questo ha potuto vincere, è perché le vecchie risorse della politica borghese erano fruste e fradicie, incapace di intendere che solo la rivoluzione può superare la fase fascista, e che contrapporvi il nostalgico desiderio del ritorno alle istituzioni e alle forme statali del periodo che la precedette è veramente la più reazionaria delle posizioni.
Durante il suo primo periodo, il fascismo sedò le resistenze, liquidò i residui delle vecchie organizzazioni politiche, impostò la sua non originale e non risolutiva soluzione delle questioni sociali prendendo a prestito dai programmi del socialismo riformista la inserzione nello Stato degli organismi sindacali e la creazione di un meccanismo arbitrale centrale, che, al fine supremo della conservazione dello sfruttamento padronale, compensava i guadagni e le rimunerazioni dei lavoratori contenendo a grandi sforzi in un piano economico generale la speculazione capitalistica.
Ma questo primo esperimento di amministrazione politica totalitaria della vita sociale, nell'ambiente economico italiano di scarso potenziale intrinseco, dette risultati assai meschini, e l'apparente solidità del regime si mantenne solo con l'abuso smodato di una retorica parolaia, che fu la continuazione fedele della vuotaggine del tradizionale parlamentarismo italiano.
Dal punto di vista convenzionale e borghese, il fascismo segnò una nuova era rispetto al ciclo precedente della classe dominante italiana, nelle sue vicende di politica interna ed estera. Contro la concorde, benché opposta affermazione di questa antitesi da parte dei dottrinari da operetta del fascismo e dell'antifascismo, una valutazione marxista riconosce la logica e coerente continuità e responsabilità storica nell'opera e nella funzione della classe dominante italiana prima e dopo il 28 ottobre 1922. Tutto ciò che è stato perpetrato e consumato dopo trova le sue premesse necessarie in quanto si svolse nei precedenti decenni.
Lo stesso movimento fascista, con la pseudo-teoria che mai seppe prendere corpo, nasce con continuità di atteggiamenti, di consegne, di organizzazioni e di capi, dal movimento dei fasci interventisti dal 1914, a cui si richiamano quasi tutti i movimenti che si vantano antifascisti...
Comunque, la situazione succeduta al fascismo è di tale miseria politica, che non contiene nemmeno gli elementi retorici che rispondono a queste banali riesumazioni, alla nuova rivoluzione liberale ed al Risorgimento seconda edizione.
Come si può dire che il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo è l'antifascismo quale oggi lo vediamo, così può dirsi che la stessa caduta del fascismo, il 25 luglio '43, coprì nel medesimo tempo di vergogna il fascismo stesso, che non trovò nei suoi milioni di moschetti un proiettile pronto ad essere sparato per la difesa del Duce, ed il movimento antifascista nelle sue varie sfumature, che nulla aveva osato dieci minuti prima del crollo, nemmeno quel poco che bastasse per poter tentare la falsificazione storica di averne il merito.
Vi furono negli anni del fascismo ed in quelli di guerra opposizioni, resistenze e rivolte, come vi sono state nelle zone tenute dai fascisti e dai tedeschi lotte condotte da partigiani armati. Ma mentre il politicantismo borghese è riuscito a dare a questi movimenti le sue false etichette liberali e patriottarde, nella realtà sociale tutti quei conati generosi vanno attribuiti a gruppi proletari, che, se nella coscienza politica non si sono saputi svincolare dalle mille menzogne dell'antifascismo ufficiale, nella loro battaglia esprimono il tentativo di una rivincita di classe, di una manifestazione autonoma di forze rivoluzionarie tendenti a schiacciare tutte le forze nemiche degli strati sociali dominanti e sfruttatori.
Il tracollo decisivo del regime fascista è derivato dalla sconfitta militare, dalla logica politica di guerra degli alleati, che, conoscendo la fragilità dell'impalcatura statale militare italiana, hanno localizzato presso di noi i primi formidabili colpi d'ariete della loro riscossa contro i successi tedeschi. Quando il territorio italiano era largamente invaso, il fascismo perse la partita non per il gioco dei suoi rapporti di forza coi partiti italiani antifascisti, ma per il gioco di rapporti di forza tra l'organismo statale militare italiano e quelli nemici...
Poiché la crisi culminante dello Stato borghese italiano (e non del solo fascismo che non era che la sua ultima incarnazione) non coincideva affatto nel tempo con la crisi dell'organismo militare tedesco, si determinò la situazione di liquidazione catastrofica di tutta la forza storica della classe dominante italiana. Questa, nel suo tentativo di gettare a mare l'alleato facendosene un merito agli occhi del vincitore, percorse una via rovinosa, perché in realtà non aveva più forza per costituire una seria pedina nel gioco dell'uno o dell'altro dei contendenti. Cercò di non confessarlo, e tutti gli attuali partiti dell'antifascismo furono complici nella responsabilità di questa vergognosa per quanto vana truffa politica.
Monarchia, Stato Maggiore, burocrazia, dapprima gettano a mare Mussolini, ma, non avendo nulla preparato di positivo per affrontare non tanto il fascismo, quanto il suo alleato tedesco, sono costretti a vivere l'ignobile farsa dei 45 giorni, in cui dicono corna di Mussolini ma proclamano che il popolo italiano deve seguitare a combattere la guerra tedesca. Preparano, poi, non il cambiamento di fronte, impossibile ad un popolo e ad un esercito ormai incapaci di combattere e stanchi di sacrificarsi dopo tutte le vicende passate, ma esclusivamente il loro salvataggio di classe, di casta e di gerarchie, poco curandosi che tale salvataggio di responsabili e complici inveterati della politica fascista duplicasse l'amarezza del calvario del popolo lavoratore italiano.
In questo quadro di clamoroso fallimento corrono a rioccupare i loro posti i partiti della pretesa sinistra antifascista, e quelli che sfruttano i vecchi nomi dei partiti della classe proletaria italiana. Ma nessuno di essi rifiuta la corresponsabilità di questa colossale manovra di inganni e di menzogna.
L'Italia che aveva vissuto per 22 anni di bugie politiche convenzionali, rimane nella stessa atmosfera, aggravata dal disastro economico e sociale. Nessuno dei partiti antifascisti trova la forza di contrapporre alla retorica della immancabile vittoria della banda mussoliniana, l'accettazione coraggiosa della realtà della sconfitta. Essi si pongono sul terreno banale della parola antitedesca cercando invano di presentare ai vincitori una Italia che, facendo per quattro anni la guerra contro di essi, fosse in realtà una loro alleata, e promettendo ciò che nessun partito italiano poteva mantenere, cioè un apporto positivo alla guerra contro la Germania, ed in realtà anche dal punto di vista nazionale non riescono ad un salvataggio parziale ma cadono in un peggiore disfattismo.
Le parole dei giornali dei partiti che si dicono rivoluzionari, echeggianti completamente quelle fasciste - unità nazionale, tregua di classe, esercito, guerra, vittoria - parole altrettanto false quanto allora, mascherano soltanto la libidine di dominio delle classi privilegiate, pronte ancora una volta ad un mercato fatto sulla carne e sul sangue dei lavoratori, e rispondono al tentativo di salvare alla borghesia italiana una posizione di classe economica dominatrice, sia pure vassalla di aggruppamenti statali infinitamente più forti, mediante l'offerta della vita, degli sforzi, del lavoro della classe operaia, a vantaggio prima della guerra, poi del peso titanico della ricostruzione. La borghesia italiana, la stessa che si servì di Mussolini, che plaudì a lui, che lo seguì nella guerra finché fu fortunata, firma coi suoi nemici un armistizio che non può pubblicare, perché con esso ha tentato di risalire dal vortice che la inghiotte a tutte spese di quelle classi che da decenni ha ignobilmente sfruttate e che spera di poter seguitare ad opprimere, se non come padrona assoluta, come aguzzina di nuovi padroni. Di questo segreto contratto e del suo spietato carattere di classe sono volontariamente corresponsabili tutti i partiti che agiscono oggi nel campo politico italiano, che accettarono di coprire la manovra con l'adozione delle false parole dell'alleanza, dell'armamento, della guerra, e che non osano, pur abbeverandosi ad un'orgia di liberalismo, avanzare nessuna timida eccezione critica alla dittatura di queste colossali menzogne.
Ritornando alla tesi-base dell'antifascismo di tutte le sfumature, secondo cui il fascismo fu ritorno reazionario di regimi pre-borghesi e feudali, e dopo la sua caduta si pone il postulato di ricominciare la rivoluzione ed il Risorgimento borghese con la solidarietà di tutte le classi, dalla borghesia al proletariato, e dopo di aver dimostrato l'enorme falsità storica e politica di questa posizione, deve concludersi che, se per un momento la tesi fosse vera, la rinascente borghesia avrebbe dovuto ricominciare il suo ciclo nelle forme iniziali che gli furono proprie, forme di dittatura di classe, di direzione totalitaria del potere, e non di tolleranza liberale.
Lo stesso fatto che le gerarchie politiche oggi prevalenti sono state incapaci a scorgere la necessità, per estirpare il fascismo, di una fase di dittatura e di terrore politico, dimostra che tra il fascismo ed esse - come insegna la valutazione fatta secondo le direttive marxiste - non vi è antitesi storica e politica, che il fascismo nei suoi risultati non è storicamente sopprimibile da parte di correnti politiche borghesi o collaboranti, che gli antifascisti di oggi, sotto la maschera della sterile ed impotente negazione, sono del fascismo i continuatori e gli eredi, e prendono atto passivamente di quanto il periodo fascista ha determinato e mutato nell'ambiente sociale italiano.
E a conclusione di quelli che sono gli aspetti internazionali della commedia e della tragica farsa che va dal 25 luglio all'8 settembre, va ribadito che l'armistizio italiano non fu vero armistizio.
È mancato quel mercato militare che è la base del fatto giuridico di armistizio. Era inutile stipularlo, e bastava proclamare ovunque la consegna dei frammenti di territorio italiano alla forza del primo occupante straniero. Il mercato è stato politico e di classe; quei gruppi, espressione della classe dominante, hanno tentato di barattare il privilegio di governare e sfruttare l'Italia, ossia la classe lavoratrice di questo paese, contro la firma di una serie di condizioni di servitù politica ed economica, che la forza del vincitore era ben libera di realizzare col suo diritto storico, ma che tuttavia la sua propaganda può oggi presentare come giuridicamente garantite.
Con l'armistizio, la casta militare italiana, nella immensa maggioranza, non invertì le direttrici del tiro, ma si preoccupò solo di rubare e vendere il contenuto dei depositi, dopo aver buttato via armi e divise. I fascisti, evidentemente, lo facevano per sabotare l'alleato, gli antifascisti per sabotare i tedeschi. Soltanto a tale risultato poteva condurre il capolavoro della tremenda opposizione antifascista italiana che, con la doppia manovra 25 luglio-8 settembre, coronò degnamente il corso della classe dominante italiana in un secolo di storia. Da allora questo metodo geniale ha preso il nome di "doppio gioco" con la caratteristica della sua miserabilità, e con quella che esso non è servito nemmeno ad ingannare il padrone, da nessuno dei due fronti...

Da "La classe dominante italiana e il suo Stato nazionale", agosto 1946.

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